Descrizione
È il 30 settembre del 2010 quando Marta Dillon, in Europa con la compagna e il figlio, attraverso una telefonata apprende che l’Équipe Argentina di Antropologia Forense ha determinato l’identità di alcuni resti trovati in una fossa comune. Si tratta delle ossa della madre, l’avvocata e militante Marta Taboada, sequestrata nella sua casa di Moreno, provincia di Buenos Aires, il 28 ottobre del 1976 di fronte ai quattro figli e desaparecida fino a quel momento. È questo il punto di partenza di un testo potente e intimo, la storia della ricerca del corpo di una madre scomparsa e, a trentaquattro anni dal suo sequestro, finalmente aparecida. Come appropriarsi ora di quei pochi resti emersi dall’ombra? Che relazione rimane tra il ricordo di un abbraccio e l’oscurità di uno scheletro scomposto? Ma quelle ossa possono ancora raccontare molto, si mostrano capaci di ingrandire i labirinti della memoria e permettono alla figlia di ricostruire la figura e il carattere di una madre che ha vissuto soprattutto nell’assenza. “Tornando ai fatti, alle parole, ai gesti, ai silenzi di allora, illuminati per sempre dalla violenta falciatura” del corpo della madre, Marta Dillon narra di un ricongiungimento che sa di giustizia, lotta e resistenza, e che rappresenta anche una svolta nel racconto pubblico di quelle vite segnate dalla brutalità durante gli anni bui dell’ultima dittatura argentina.