Descrizione
Mosca, primi anni Sessanta. L’ossessione del tenente Ivanov ha un nome, anzi uno pseudonimo: Abram Terc. Sono anni ormai che il fido ufficiale dello Stato tenta invano di identificare questo misterioso autore che fa arrivare e pubblicare i suoi scritti in Occidente. Prima un testo contro il mirabile realismo socialista, poi insidiosi racconti fantastici che non celebrano la grandezza dell’Unione Sovietica, e proprio adesso che il regime è minacciato più che mai da inauditi pericoli borghesi: il jazz, i jeans, i turisti… Bisogna agire subito per fermare quell’infida penna: finirà un giorno o l’altro per essere tradita da una sbavatura? «Ripercorrendo gli anni in cui il Kgb indagò sulle attività clandestine di suo padre, Iegor Gran dimostra che la libertà resiste sempre, nascosta sotto l’oppressione del potere totalitario» («Esprit»). «Il sistema immunitario della patria»: questo dice il tenente Ivanov del suo lavoro presso gli uffici competenti. Alla stregua di invisibili anticorpi, i funzionari scongiurano incredibili pericoli esterni quali penne Bic, blue jeans o note di jazz, vera piaga di questi primi anni Sessanta. A volte, però, l’attacco viene dall’interno, ed è un cancro inestirpabile. Proprio come Abram Terc, l’ingrato traditore che si diverte a scrivere libercoli antisovietici e li fa pubblicare all’estero. «Realismo fantastico» la chiamano la sua corrente letteraria. Il primo avvistamento tra le righe della stampa francese risale al 1959. Ma Ivanov è risoluto, e fiducioso. D’accordo, Terc è riuscito a eludere chissà come i controlli alle frontiere – e la solerte sorveglianza preventiva di cui beneficia ogni cittadino fin dalle fasce – ma di certo non può sfuggire all’intuito e ai potentissimi mezzi degli uffici competenti. Eppure, eppure. Ci vorranno sei lunghi anni di interrogatori martellanti a studentelli imberbi, interminabili pedinamenti, infestazione di talpe in ogni covo dell’intelligencija moscovita prima di smascherare il pacifico professor Andrej Sinjavskij, e acciuffarlo un mercoledì di settembre del 1965. Le velleità letterarie, prima o poi – o molto poi – si pagano con il Gulag… Nel frattempo sotto le gonne della grande Madre Russia è successo di tutto: un’esposizione americana di portata colossale, lo sfratto delle spoglie di Stalin dal mausoleo di Lenin, la visita nello spazio del compagno Gagarin, lo scoppio di un incendio inestinguibile in Uzbekistan. Ah, che tempi quelli del governo di Chrus?ëv! E in effetti sarebbe bello sapere anche cosa ha fatto il temibile Andrej in tutti quegli anni straordinari passati in «latitanza». Be’, è semplice. Niente, o meglio tutto: ha insegnato all’università, ha curato un’antologia dell’opera poetica dell’ineffabile Pasternak – figuriamoci! -, se l’è spassata con i suoi amici e la vigorosa moglie Marija Vasil?evna Rozanova, è rimasto a Mosca, in piena vista, dove gli uffici competenti potevano controllarlo meglio. Ha perfino avuto un figlio, il piccolo Iegor, nato pochi mesi prima del suo arresto… Sí, perché il vero cognome dell’autore di questo libro è Sinjavskij. E questa è la storia della sua famiglia. «Il periodo che va dal “disgelo” di Chrus?ëv all’era di Bre?nev rivive qui con una comicità e un senso del grottesco a cui i libri di storia non ci hanno abituato» («Le Monde»).